21/11/2012 – Italia a Tavola.net
Nero di Troia, tra storia e mitologia. La Puglia imperiale nel bicchieredi Piera GentaIl Nero di Troia è un vitigno a maturazione tardiva, tra la metà e la fine di ottobre, ricco di tannini e di antociani. Ne esistono due espressioni varietali. Per la sua spiccata personalità il Nero di Troia si presta a interpretazioni inattese: bianco, rosato, giovane di pronta beva e strutturato Il misterioso Castel del Monte, federiciano maniero patrimonio dell’Unesco sull’altopiano carsico delle Murge domina il paesaggio collinare circostante caratterizzato da uliveti e vigneti di Nero di Troia, oggi considerato il terzo grande vitigno a bacca nera della regione. Come tutti gli autoctoni gode di una ricca storia fatta di leggende e di qualche fondo di verità, ma il fascino di un vino vive anche di suggestioni che vanno oltre a quelle sensoriali.Narra la mitologia che Diomede, al termine della guerra di Troia, sbarcò nella Daunia, risalì il fiume Ofanto, si fermò in una zona che venne chiamata Campi Diomedei e qui piantò quei tralci di vite che aveva portato con sé. Altri studiosi fanno derivare l’origine del vitigno dalla cittadina di Troia, alle pendici del subappennino dauno ad ovest di Foggia fondata dai coloni greci intorno al 700 a.C.; altri ancora dalla città albanese di Kruja e infine dalla regione galizio-catalana della Rioja e portato nella giurisdizione di Troia intorno al 1745 dal governatore Alfonso d’Avalos. Tante supposizioni ma nessuna di queste teorie è stata confermata dall’analisi del Dna. Nonostante che di un vitigno simile all’uva di Troia ne parli Omero nel libro XVIII dell’Iliade, la prima documentazione storica riporta un “corposo vino di Troia” bevuto alla corte di Federico II di Svezia essendo questo vitigno molto coltivato nell’area dell’alto barese già intorno all’anno Mille. Nella seconda metà dell’Ottocento il Nero di Troia ha vissuto un periodo di buona espansione grazie al lavoro di latifondisti locali, come i conti Pavoncelli che ne piantarono ben 60 ettari di cui 30 vennero dati a mezzadria. Le superfici coltivate a vigna raggiunsero i 13mila ettari, ma nell’ultimo trentennio sono andate diminuendo fino a 1429 ettari nel 2010, oggi sono in lenta ripresa.Molti i sinonimi da quelli dialettali, come Uva di Canosa, di Barletta, della Marina per la facilità di adattamento sulle coste, a quelli riconosciuti ufficialmente, sumarello o sommarrello e Nero di Troia. Il suo territorio di elezione sta nella provincia di Foggia e nel nord di quella di Bari anche se proprio grazie alla natura del terreno, dal calcareo della zona di Castel del Monte all’argilloso vicino al mare, è difficile trovare omogeneità nelle sue varie espressioni. Sempre di più lo troviamo vinificato in purezza, mentre in uvaggio in percentuali diverse, è presente nelle doc “Cacc’e mmitte” di Lucera, Rosso di Barletta, di Cerignola e di Canosa, Orta Nova, Castel de Monte ed infine nella Tavoliere delle Puglie nata nel 2011.Il Nero di Troia è un vitigno a maturazione tardiva, tra la metà e la fine di ottobre, ricco di tannini e di antociani. Ne esistono due espressioni varietali: uno con grappolo serrato ed acini grandi, chiamata “ruvese” la più diffusa preferita in passato per le sue alte produzioni ad ettaro e quella ad acino piccolo e grappolo spargolo chiamato “canosina”, poco produttiva quindi poco utilizzata e sulla quale si concentrano oggi le attenzioni degli studiosi per ottenere vini di qualità. Dalla metà degli anni novanta è iniziata una vera fase di rinnovamento: si è passati dalla coltivazione a tendone alla spalliera, si è data importanza al miglioramento della qualità con rigorosa selezione delle uve ed utilizzo in cantina di tecniche moderne.Proprio per la sua spiccata personalità il Nero di Troia si presta a interpretazioni inattese: bianco, rosato, giovane di pronta beva e strutturato che necessita di qualche anno di invecchiamento in legno piccolo o botte grande per imbrigliarne l’esuberanza. Vinificato in purezza, oggi è un vino equilibrato, dal colore rubino intenso, talvolta tanto intenso da sembrare quasi nero, elegante con sentori di viola mammola, aromi di frutta matura a bacca rossa, principalmente ciliegia e prugna e speziato dopo il secondo anno di vita, potente senza esagerare anche nell’alcol. In bocca una discreta acidità con tannini a volte ridondanti, ma che ci permettono un buon invecchiamento.Gli abbinamenti sono senza dubbio con la cucina del territorio con dei distinguo: il rosato e la versione giovane ideale con zuppe, verdure, formaggi delicati, mentre la riserva accompagna i cibi ricchi di sapore, arrosti, selvaggina e formaggi stagionati.
