20/02/2015 – Nuovo Quotidiano di Puglia

20/02/2015 – Nuovo Quotidiano di Puglia

LA GUERRA, I SACRIFICI E UNA SFIDA DA VINCERETappa nell’azienda De Falco, a Novoli di Pino De LucaLa storia di oggi racconta di come la guerra cambia i destini degli uomini. Così, di vino in vino altro parlando, ti ritrovi un Salice Doc per le mani. Nome che fa impressione: Falco Nero. Staccato. Ricorda l’epopea del West e la guerra del Michigan, dei Sauk e dei Meskwaki e dei Kickapoo. Ed invece sei in Salento, a Novoli e comunque la guerra c’entra per davvero. Nessuna spedizione di coloni o tribù nomade. Seconda Guerra Mondiale. Armistizio. E Napoli. Napoli bombardata per mesi.Napoli distrutta. Napoli capitale di un Sud conquistato e reso straccione dall’Italia unita e da mille guerre che ne hanno cancellato la gioventù. Napoli che ha uno scatto e trova il riscatto. In cinque giorni spazza via le truppe naziste che la occupavano. Gli Alleati la trovano libera e affamata. A Napoli non c’è più nulla se non la fame più nera. A Napoli le madri vendono i figli ai soldati marocchini e i figli vendono le madri a chiunque. Ma non tutti aspettano “Sigarette papà/caramelle mammà,/biscuit bambino/dduie dollare ’e signurine.”, qualcuno mette le gambe in spalla e dal Tirreno viene sull’Adriatico. Nella “Cantina d’Italia”, la terra che per decenni ha prodotto vino per tutti. Il Signor De Falco prova a commerciare vino nella mezza Italia liberata.Viaggi difficili e passaggi impossibili nelle strade del sud del 1944. Il Signor De Falco si prende moglie e figliolanza e se ne scende a Trepuzzi, un passo dalla ferrovia dalla quale partono i convogli di cisterne di negroamaro e primitivo che rendono ricchi e forti tanti vini anemici del nord Italia. Salvatore adesso ha 76 anni, ne aveva sette quando comincia a capire cosa è vino, cosa è palmento, cosa è cisterna e così via. Le linee ferroviarie dell’Adriatica sono intasate di stabilimenti vinicoli di grandi latifondisti e grandi commercianti, nei paesi interni c’è più spazio per i piccoli e i De Falco arrivano a Novoli. Ci si impiantano e la loro carrieradi commercianti di vini sfusi segue le carriere di altri nomi più altisonanti. Salvatore tira su famiglia, sceglie il profilo basso, pochi clienti affezionati, i fornitori di materie prime sempre gli stessi, crea quasi un clan. Gli agricoltori che coltivano la vigna e vendono l’uva ai De Falco non vogliono sentir parlare di altri compratori. Specialmente nel Brindisino: “quai atra gente nun ci trase propriu intra sti vigne.” Si riproduce anche Salvatore e, tra l’altro, genera Gabriele. Non va più la vendita di vino sfuso, è sciocco continuare a foraggiare con prodotto eccellente bottiglie che daranno ad altri un cospicuo valore aggiunto. Gabriele cresce e cresce anche la cantina, Novoli resta avulsa. “Nemo profeta in patria”, specialmente quando la patria è città di commercianti che hanno fatto dell’individualismo la propria ragione di vita. E ad essa hanno sacrificato anche radici preziose… quasi tutto il vermouth del mondo aveva alla base il Moscato di Novoli che ormai non esiste più. Gabriele cresce e cresce la cantina. Salvatore è energico, presente e possente. Ancora deus dell’azienda, forse uno dei più “antichi” ancora al timone nelle aziende enoiche salentine.Ma Salvatore è ancora svelto, è in cantina quando aveva sette anni, i suoi con feritori e le sue terre gli danno una massa di uva di prima qualità. E da questa massa prende il fiore per farne vino da bottiglia. Gabriele cresce, anche lui a sette anni era in cantina, adesso è adulto, ha lineamenti decisi e occhi rubati al cielo sereno della primavera salentina. Il suo tempo avanza, gli studi mettono frutto. Mercato internazionale per le bottiglie dei De Falco. Dusseldorff è meta costante per l’azienda. Grandi consumatori finali della MittelEuropa si contendono il racconto del territorio che Gabriele e Salvatore hanno racchiuso nelle bottiglie. Il Falco Nero piomba rapido sulle tavole di Zurigo, consegnando alla piccola Repubblica Elvetica stille del sole del Salento.Trecentomila bottiglie mette in pedane l’azienda De Falco, vanno tutte all’estero tranne una qualche decina di migliaia che resta in Enotria per chi ne sa apprezzare la possanza. «E noi facciamo Pil, facciamo ricchezza», s’infervora Salvatore che s’alza e s’allontana dritto come una candela. Va a ricevere suo fratello appena giunto. Gabriele dunque, erede della fatica e dell’impegno, custode anche della passione, rimane a conversare in questo angolo di enoteca ricavata in cantina. È enigmatico il giovane, racconta della necessità di essere al passo e di un antico vigneto ormai estinto. Non ha la verve suggestionante di Salvatore, nemmeno una guerra alle spalle e la fatica di ricominciare da nulla. Ha la responsabilità di rendere migliore qualcosa che è già ad alto livello e ancora fa fatica a comprendere che l’opera è assai più ardua. O forse lo comprende benissimo e ne ingoia tutte le preoccupazioni. Sotto il sole di un mattino d’inverno, vien fuori il Gabriele che non t’aspetti. O che forse ti aspetti. Il Gabriele delle speranze riposte, della voglia di spiccare il volo con le gradi ali di un Falco Nero, e della forza da accumulare nel Rosso Artiglio perché la preda, una volta presa, non scappi più: «Cinquecentomila bottiglie, senza perdere in qualità, anzi migliorandola». E quello che sembrava timidezza si trasforma in consapevolezza dello sforzo necessario, necessità di compattare i collaboratori, bisogno di continuare a contare su quegli agricoltori fidelizzati.