La legge sull’enoturismo della Puglia appena approvata sarà un freno, anziché un volàno alla crescita della nostra regione attraverso il turismo enogastronomico. 
    
Il percorso legislativo non ha ascoltato le richieste del settore, con il risultato di un legge dirigista, burocratica e contenente grossolani errori.

Buona parte delle cantine aderenti al Mtv Puglia rischiano di non poter più fare enoturismo.

BARI - La legge approvata all’unanimità dal consiglio regionale della Puglia lo scorso 27 luglio 2021, anziché adottare semplicemente la legge nazionale del 2017 (legge Stefàno) e i decreti ministeriali attuativi emanati nel 2019 che attribuiscono alle Regioni la competenza della formazione ed istituzione di un Albo, regola il settore con una norma ridondante, dirigista, appesantita da aspetti burocratici al limite del paradossale che si sperava fossero ormai lontani ricordi. Ma soprattutto contiene grossolani errori che mettono a repentaglio l’intero settore dell’enoturismo pugliese.

È la denuncia dei vertici del Movimento Turismo del Vino Puglia, i quali aggiungono che si tratta di ‘obbrobrio normativo’, il risultato di un percorso che ha escluso - da una reale consultazione e confronto - le cantine aderenti al consorzio  Mtv Puglia, i luoghi di destinazione per eccellenza dell’enoturismo, impegnate da circa 25 anni a far crescere un settore diventato trainante per l’economia regionale, e che da oltre 2 anni attendevano l’adozione della legge nazionale e relativi decreti.

Siamo profondamente delusi - lamentano dal Mtv Puglia – perché i contatti informali con l’assessorato regionale alle Politiche agricole e forestali facevano pensare ad un altro risultato. Anche la partecipazione alle audizioni predisposte dal Consiglio regionale è stata solo parziale perché non siamo stati convocati a partecipare alle più importanti in quanto non considerati ‘parte sociale’, pur essendo gli attori del settore. In ogni caso, tutte le parti sociali (Confagricoltura, CIA, Coldiretti, Confindustria, tra le altre) e le altre associazioni di settore come le Donne del Vino, intervenute in audizione, richiedevano coralmente l’adozione della legge e dei decreti nazionali mediante una semplice delibera di giunta che avrebbe evitato questo risultato. È evidente che la richiesta  è stata disattesa perchè il governo regionale ha deciso di procedere  con una nuova legge regionale che il settore enoturistico pugliese non vuole così configurata e che pesa sul settore invece di dargli slancio.

L’errore più macroscopico è contenuto nell’art. 2 comma 1 che identifica i soggetti attivi (chi può svolgere attività di enoturismo). La norma nazionale, in considerazione della grande varietà di forme giuridiche e organizzative delle cantine, non definisce in maniera specifica i soggetti attivi, ma chiarisce che l’enoturismo comprende ‘le attività di conoscenza del vino espletate nel luogo di produzione… nell’àmbito delle cantine’ (art. 1, comma 502, l. 205/2017 richiamato nella stessa legge regionale all’art. 1 comma 3).  

L’analisi della norma regionale a firma del consigliere Bellomo, evidenzia che l’art.2 comma 1 prevede invece un ‘elenco positivo’ di soggetti che è incompleto e lascia fuori le cantine sotto forma di impresa non agricola che producono prevalentemente ‘in casa’ le uve destinate alla produzione, mentre per assurdo sono previste le cantine che acquistano prevalentemente uve da terzi. Un ‘buco’ che rischia di impedire l’attività enoturistica proprio alle cantine più virtuose che la svolgono da molti anni con successo e beneficio per loro e l’economia regionale.

Inoltre, la suddetta legge regionale impone all’art.6 un sistema (probabilmente mutuato dalla normativa regionale sull’agriturismo) di iscrizione all’istituendo albo degli operatori enoturistici, inutilmente burocratico e farraginoso, che coinvolge i Comuni provocando un corto circuito di adempimenti e controlli incrociati che rischia di rendere difficilmente attuabile la normativa. Infatti, l’invio della SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività) richiesta dal legislatore nazionale, viene subordinata all’iscrizione all’albo che però deve passare attraverso una richiesta ai Comuni, probabilmente ignari di essere coinvolti nel processo e certamente non attrezzati,  ai quali è richiesto di verificare la sussistenza dei requisiti comunicando il nulla osta alla regione.

Sarebbe stato logico un invio diretto telematico tramite il portale SIAN con iscrizione automatica all’albo, così come previsto da altre leggi regionali come quella della Toscana, salvo verifica successiva dei requisiti visto che si tratta non di attività ex novo, ma già avviate. 

Queste evidenziate sono le problematiche più importanti, ma non le uniche del provvedimento legislativo che nel complesso risulta essere molto deludente.