Mamma o papà: i figli da chi prendono l’intelligenza? Gli scienziati hanno finalmente una risposta definitiva: il dibattito è chiuso per sempre
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Alcuni studi sottolineano il ruolo dei geni materni, ma gli scienziati ricordano che l’intelligenza nasce dall’intreccio tra genetica, ambiente e relazioni affettive
L’idea che i figli “prendano il cervello dalla mamma” è una di quelle frasi che circolano spesso sui social, nelle chiacchiere in famiglia e persino nei titoli a effetto. Ma cosa c’è di vero? La scienza si è interrogata a lungo su quanto l’intelligenza sia ereditaria e su quale sia il peso dei geni materni e paterni nello sviluppo cognitivo dei figli. La risposta, oggi, è più sfumata di quanto certi slogan lascino intendere: esistono indizi che attribuiscono un ruolo importante ai geni ereditati dalla madre, ma gli esperti ricordano che l’intelligenza non dipende da un solo genitore, né tantomeno dai soli geni.
L’intelligenza, infatti, è un concetto complesso che non si esaurisce nel semplice QI. Comprende capacità di problem solving, creatività, intelligenza emotiva, abilità sociali, memoria, attenzione e molto altro. Le neuroscienze hanno mostrato che il cervello umano è altamente plastico: si modifica e si adatta in risposta alle esperienze, all’ambiente, alle relazioni che viviamo. Per questo, accanto alla genetica, contano in modo decisivo anche l’educazione, il contesto familiare, la qualità degli stimoli e dei legami affettivi.
Il ruolo dei geni e perché si parla tanto della madre
Negli ultimi decenni diversi studi hanno analizzato l’ereditabilità dell’intelligenza. Una parte della ricerca ha messo l’accento sul fatto che molti geni coinvolti nello sviluppo cerebrale si trovano sul cromosoma X. Poiché le donne possiedono due cromosomi X, mentre gli uomini solo uno, si è ipotizzato che i figli possano ereditare una quota significativa dei geni legati alle capacità cognitive proprio dalla madre. Alcune ricerche, tra cui studi citati già dagli anni Ottanta, hanno suggerito che i geni di origine materna possano essere particolarmente influenti su alcune aree del cervello connesse al pensiero e alle funzioni cognitive.
Un concetto chiave è quello dei cosiddetti “geni condizionati”, che si attivano o si spengono a seconda che provengano dalla madre o dal padre. Questi geni portano una sorta di “etichetta” biochimica che ne indica l’origine e può determinarne il funzionamento all’interno delle cellule. Esperimenti condotti su animali da laboratorio, come topi geneticamente modificati, hanno mostrato che una maggiore presenza di geni materni può essere associata a cervelli più grandi, mentre una predominanza di geni paterni tende a produrre corpi più robusti ma con cervelli relativamente più piccoli.
Questi risultati hanno alimentato la convinzione che l’intelligenza sia soprattutto “una cosa da mamma”. In realtà, gli scienziati sottolineano che si tratta di un fenomeno complesso: i geni paterni restano fondamentali per molti altri aspetti dello sviluppo e anche per le capacità cognitive nel loro insieme. Inoltre, i dati ricavati dagli animali non possono essere trasferiti in modo automatico all’essere umano. Le ricerche indicano una forte componente genetica, ma non una divisione netta e semplice tra il contributo del padre e quello della madre.
Le stime più accreditate parlano di una quota di ereditabilità dell’intelligenza compresa, in media, tra il 40 e il 60 per cento. Ciò significa che quasi metà del potenziale cognitivo è influenzato dai geni, ma l’altra metà dipende da fattori non genetici: ambiente, esperienze, istruzione, stimoli, relazioni affettive, occasioni di apprendimento.

Ambiente, affetto e sviluppo del cervello: perché i genitori contano ben oltre il DNA
Se i geni preparano il terreno, è l’ambiente a decidere in gran parte come questo terreno verrà coltivato. Il contesto familiare, la qualità delle cure e il clima emotivo in cui il bambino cresce influenzano profondamente lo sviluppo del cervello e, di conseguenza, le sue capacità cognitive. In questo senso, la figura materna viene spesso sottolineata per il ruolo centrale che ha nei primi anni di vita, ma la scienza riconosce ormai l’importanza di tutte le figure di riferimento: madre, padre, nonni, educatori.
Uno studio condotto dalla University of Washington ha mostrato, ad esempio, che i bambini con un forte legame affettivo e un adeguato supporto emotivo da parte della madre presentano un ippocampo – la regione del cervello associata alla memoria e all’apprendimento – più sviluppato rispetto ai coetanei cresciuti con madri meno coinvolte. Questo non significa che l’intelligenza si riduca al solo rapporto madre-figlio, ma evidenzia come un attaccamento sicuro favorisca una crescita cerebrale più armoniosa.
Un ambiente stimolante, ricco di parole, libri, giochi, domande e occasioni per esplorare il mondo, potenzia il lavoro già avviato dai geni. Allo stesso tempo, un contesto povero di stimoli, conflittuale o emotivamente instabile può frenare lo sviluppo di capacità che erano comunque presenti nel patrimonio genetico del bambino. È per questo che gli scienziati insistono sul fatto che non esiste un destino scritto nel DNA: i geni danno una predisposizione, ma tocca alla vita – e alle persone che circondano il bambino – trasformarla in realtà.
In definitiva, dire che i figli ereditano l’intelligenza “solo dalla madre” è una semplificazione eccessiva. I geni materni possono avere un ruolo speciale, ma anche quelli paterni sono importanti, così come l’insieme delle esperienze che il bambino vive. L’intelligenza nasce dall’intreccio tra natura e cultura, tra ciò che riceviamo alla nascita e ciò che costruiamo, giorno dopo giorno, con l’aiuto di chi ci sta accanto.
