20/06/2014 – Nuovo Quotidiano di Puglia
di Pino De LucaDopo che fu compiuto il miracolo a Cana, il maestro di tavola disse allo sposo: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono».Il primo miracolo di Gesù, secondo Giovanni, ebbe come contesto un matrimonio e come parte il vino. Anche la storia di oggi è legata, legatissima al vino e al matrimonio. Solo che bisogna prender la rincorsa per fare un salto che, nei tuffi, avrebbe coefficiente a due cifre e senza virgola.E dunque cominciamo dal Palmento, luogo che ha etimo incerto ma destinazione certissima, almeno nella regione geografica in cui si compiono le nostre umili gesta. Il palmento era il luogo in cui si produceva il vino. Luogo di vasche e opere idrauliche astutissime, di odori a volte meravigliosi ed altre nauseabondi. So di usare una espressione un po’ sconcertante, ma per molte persone della mia età è stato anche luogo di giochi, di prime forme di relazione con altre persone, di magia.Non sono in molti a ricordare che sui tini colmi di grappoli (la diraspatura si faceva ancora a mano) salivano i bambini con i piedi nudi e i calzoncini a muovere le loro gambette e spremere il primo mosto. In molti lo hanno fatto, alcuni di questi più di altri semplicemente perché il nonno o il padre avevano un palmento. Paolo Leo era uno di quei ragazzini.Ha avuto a che fare con i filari, i ceppi, le bascule, i fermentini, le presse, le pompe e i tini, la “dame” e i “fusti” praticamente da sempre.Una full immersion della vita e un amore impossibile da cancellare. Ma il brand del vino è difficile, durissimo, ha bisogno di tempo, di capitali e di coraggio. Ogni prova, con il vino, si gioca su un secondo e dura dodici mesi.Gioco ad alto rischio ed eredità di passione, di fatica e di impianti impossibili da utilizzare in chiave moderna. Ma il desiderio della cantina propria è tanto, fortissimo ed anche quello di metter su famiglia. I matrimoni del Sud, un tempo almeno, erano momenti importanti nella vita di ciascuno, momenti che si condividevano con grandi pletore di parenti e amici, in pranzi luculliani più destinati a rafforzare relazioni sociali che a cibarsi.E il buon Paolo, per il suo matrimonio, non chiede regali ai suoi invitati, chiede il corrispondente in denaro.La raccolta è cospicua, considerato il periodo e la posizione sociale, 37 milioni e 500 mila lire. So che sono poco più di 17mila euro in valuta attuale ovvero una automobile nemmeno troppo lussuosa. Ma erano altri tempi e altri sogni. In banca, risparmiati tutti in attesa dell’occasione della vita. E questa arriva sotto forma di terreno. Comincia l’avventura: il terreno, un piccolo stabilimento, le prime attrezzature, ma questa volta con la visione chiara del traguardo, tutto commisurato all’attualema proiettato al futuro. E, anno dopo anno, la struttura cresce, cresce in dimensione e in qualità. Le tante fatiche e i tanti sacrifici si fanno sostanza e crescono ambienti e tecnologie, e crescono anche i figli. Il racconto di Paolo si fa carico di pàthos, le levatacce alle quattro di mattina per seguire le vigne, l’acquisto di nuovi terreni, il controllo dei partenariati di produttori d’uva, le relazioni con il mondo enoico d’Italia e del mondo hanno la ricompensa più grande: anche i figli giocano nel palmento e si innamorano del vino, se ne innamorano tanto che uno diventa proprio enologo e l’altro ne segue le parti commerciali.E Paolo racconta che il suo matrimonio, ventotto anni dopo, ha quasi realizzato il suo sogno. Un miracolo vero e proprio è evidente agli occhi dell’osservatore, tanto evidente da non comprendere il “quasi”.Un “quasi” di cui chieder conto e spiegazione. Dal vino da taglio prodotto per le navi francesi all’Orfeo del quale son piene le migliori guide è un salto straordinario.«Sì, ma non basta. Anche se mi stanco a percorrere tutta la cantina date le sue dimensioni, anche se la richiesta estera dei nostri vini è molto soddisfacente, anche se in molti nell’intero paese ci stimano e ci guardano con rispetto, non basta».«Il vino che noi facciamo è ancora troppo poco valutato, abbiamo ottimi vini ma dobbiamo passare quel gradino che ci porta in alto, altissimo, verso i grand cru. Abbiamo terreni migliori che in Francia, abbiamo un clima meraviglioso e vitigni straordinari, dobbiamo migliorare, migliorare, migliorare».E fosse per lui potremmo stare per ore a perfezionare ogni minimo particolare dalla campagna alla cantina, dalla botte all’etichetta. Oltre venti etichette, ognuna ha una storia, un pensiero, una ragione.Dei vini non diciamo nulla, parleranno da sé. Magari andando a cercarli in cantina a San Donaci.Termina il tempo e termina lo spazio e tante domande ancorarimangono appese, le nozze d’argento son trascorse, magari ne riparleremo più avanti, che Paolo Leo sarà in cantina anche quando le nozze saranno diventate di platino.L’ARTICOLO:
