Altro che vino americano | Questo rosso è 100% pugliese e lo sanno anche loro: tentativo di “furto” mal riuscito
Scopri le origini affascinanti del Primitivo, dal legame genetico con lo Zinfandel californiano alla rinascita qualitativa che lo ha reso icona dell’enologia pugliese.
Vino Rosso (Pixabay) - MtvPuglia
Nel vasto panorama enologico italiano, pochi vini hanno saputo compiere una parabola evolutiva tanto straordinaria quanto il Primitivo. Un tempo considerato mero vino da taglio, destinato a irrobustire i rossi esangui del Nord Italia e della Francia grazie alla sua potenza alcolica e al colore impenetrabile, oggi il Primitivo è una superstar internazionale, ambasciatore indiscusso della Puglia nel mondo. La sua storia è un intreccio di viaggi transoceanici, scoperte scientifiche e una profonda dedizione alla terra rossa del Tacco d’Italia.
Dalle origini balcaniche al “Primativus” di Gioia del Colle
Sebbene il Primitivo sia oggi visceralmente legato alla Puglia, le sue radici affondano sull’altra sponda dell’Adriatico. Studi ampelografici e analisi del DNA hanno confermato che il vitigno è geneticamente identico al Crljenak Kaštelanski (e al Tribidrag), un’antica varietà croata. Tuttavia, la storia pugliese del vitigno inizia ufficialmente alla fine del XVIII secolo.
Il protagonista di questa scoperta fu un sacerdote, Don Filippo Francesco Indellicati, primicerio della chiesa di Gioia del Colle, in provincia di Bari. Appassionato di agronomia, il prete notò, tra le viti coltivate nella sua vigna, una varietà particolare che tendeva a maturare precocemente rispetto alle altre, già verso la fine di agosto. Indellicati selezionò questa vite, la moltiplicò e la battezzò “Primativo” (o Primativus), dal latino primativus, che significa appunto “il primo a maturare”.
Da Gioia del Colle, la coltivazione si diffuse rapidamente verso sud, trovando nel territorio di Manduria e nella provincia di Taranto un habitat ideale. Qui, grazie alla vicinanza del mare Ionio e ai terreni argillosi e sabbiosi, il vitigno ha sviluppato caratteristiche uniche, dando vita alle due grandi denominazioni che conosciamo oggi: il Primitivo di Manduria DOC (e la sua versione Dolce Naturale DOCG) e il Primitivo di Gioia del Colle DOC.
Il mistero svelato: la fratellanza con lo Zinfandel
Una delle curiosità più affascinanti legate a questo vino riguarda il suo “gemello separato alla nascita”: lo Zinfandel californiano. Per decenni, i viticoltori americani hanno considerato lo Zinfandel come un vitigno autoctono degli Stati Uniti, o quantomeno una varietà unica e misteriosa arrivata nel Nuovo Mondo a metà dell’Ottocento. La somiglianza organolettica con il Primitivo pugliese, però, iniziò a destare sospetti tra gli esperti già negli anni ’60.
Il mistero fu risolto definitivamente solo negli anni ’90, grazie alla professoressa Carole Meredith dell’Università della California a Davis. Attraverso l’analisi del DNA, venne dimostrato senza ombra di dubbio che Primitivo e Zinfandel sono lo stesso vitigno. Questa scoperta ha avuto un impatto commerciale enorme: ha permesso ai produttori pugliesi di affacciarsi sul mercato statunitense con un nome già noto e apprezzato, e ha sancito una sorta di gemellaggio enologico tra la Puglia e la California. Oggi, la legislazione consente ai produttori italiani di utilizzare il termine Zinfandel in etichetta, sebbene la maggior parte preferisca orgogliosamente mantenere il nome storico di Primitivo.

Dalla cisterna alla bottiglia: rinascita e caratteristiche uniche
La vera rivoluzione del Primitivo è avvenuta negli ultimi trent’anni. Fino agli anni ’80, tonnellate di questo vino partivano in cisterna verso il Nord Europa. Poi, grazie alla lungimiranza di alcuni produttori che hanno deciso di puntare sulla qualità e sull’imbottigliamento all’origine, il Primitivo ha svelato la sua vera anima elegante.
Una caratteristica tecnica curiosa del vitigno è la presenza delle cosiddette “femminelle”. Il Primitivo è una delle poche varietà che produce una seconda fruttificazione significativa (i racemi) sugli stessi tralci, che matura circa 20-30 giorni dopo la vendemmia principale. In passato, queste uve venivano raccolte per aggiungere acidità al mosto, dato che la prima vendemmia produceva uve molto zuccherine e con bassa acidità.
Il sistema di allevamento tradizionale, l’alberello pugliese, è un altro segreto della sua qualità. Le viti, basse e contorte, sono costrette a lottare per l’acqua e i nutrienti, producendo pochi grappoli ma di concentrazione straordinaria. Il risultato nel calice è inconfondibile: un colore rosso rubino cupo che vira al violaceo, un naso esplosivo di frutti neri, confettura di prugne, tabacco e spezie, e un sorso caldo, avvolgente e vellutato. Un vino che non chiede permesso, ma conquista con la forza della sua storia e del suo carattere mediterraneo.
